25 febbraio 2013
La pena disumana trova spazio nel processo esecutivo penale
Con l’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, pronunciata il 13/2/2013 dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia, il problema dello stato in cui versano le carceri italiane irrompe direttamente della giurisprudenza di merito, acquisendo rilevanza nell’applicazione delle norme riguardanti l’esecuzione delle pene detentive.
La questione del sovraffollamento carcerario, assolutamente di primo momento, era già stata di recente stigmatizzata e sanzionata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza dell’8/1/2013, con cui lo Stato italiano era stato condannato a risarcire un detenuto per aver egli subìto, durante l’espiazione della pena, un trattamento “disumano e degradante”, e ciò alla luce dello spazio vitale disponibile nelle celle, del tutto insufficiente secondo parametri conformi al dettato dell’art. 3 della Convenzione europea sui diritti dell’uomo. Ma se questa pronuncia della CEDU aveva un effetto sostanzialmente risarcitorio/riparatorio di un danno patito dal detenuto, la questione sollevata dal Tribunale di Venezia assume un altro e forse più pregnante profilo, destinato ad avere effetti si spera risolutivi.
Viene richiesta al Tribunale di Sorveglianza la sospensione della pena in essere a carico di un detenuto nel carcere di Padova, sulla scorta della circostanza, pacifica e comprovata, che l’intera “vita” intramuraria di ogni detenuto si svolge all’interno di celle sovraffollate, con una disponibilità di spazio per persona di poco superiore ai 2 mq. Tale situazione imporrebbe la necessaria sospensione della pena, non essendovi nel caso di specie alternative possibili (visto lo stato di recidiva reiterata dell’interessato, la dichiarazione di delinquenza abituale e la pena residua da scontare).
Il Tribunale investito della questione parte da alcune osservazioni che meritano di essere riepilogate:
1) La pena per essere accettabile deve essere legale, laddove per pena “legale” non deve intendersi solo quella che è astrattamente prevista dalla legge, bensì anche quella che in concreto viene espiata, secondo modalità che devono assicurare il rispetto del principio di non disumanità. Con il chè, presa a parametro da ultima la citata decisione della CEDU del gennaio 2013, la detenzione in spazi insufficienti è di per sé oggettivamente disumana e degradante per la dignità della persona.
2) A fronte della situazione di fatto denunciata, e che riguarda purtroppo la stragrande maggioranza degli istituti di pena del Paese, si registra una inerzia legislativa che rasenta il totale disinteresse: nessun intervento concreto per dare attuazione al principio costituzionale di non disumanità, nessun progetto fattivo di edilizia carceraria, ecc., ecc. Ma di più: la magistratura di sorveglianza ha ex lege il compito di controllare e garantire la tutela dei diritti dei detenuti, ma di fatto tale potere è frustrato e svuotato dall’incoercibilità di trattamenti resi nei fatti impossibili dallo stato delle strutture carcerarie.
3) Il rimedio giuridico disponibile – laddove, come nel caso specifico, non sia possibile per il detenuto accedere a misure alternative al carcere – è dunque quello della sospensione della pena, così come rimessa alla valutazione del Tribunale di Sorveglianza dall’art. 147 c.p., il quale prevede sì una sospensione facoltativa ma in casi tassativamente previsti e, in quanto tali, assolutamente vincolanti per il giudice penale. Tra essi non figura il caso del “trattamento disumano e degradante” cui il detenuto sia di fatto sottoposto, ditalchè appare necessario chiedere alla Corte Costituzionale un intervento addittivo, perché la norma sia dichiarata incostituzionale laddove non prevede la possibilità di sospensione della pena “illegale” (nel senso che qui rileva).
Così riepilogati i punti su cui si fonda la decisione, mi sembrano interessanti le valutazioni del Tribunale in merito alla questione costituzionale specificamente sollevata. Di particolare rilievo la ritenuta violazione degli artt. 2 e 27 Cost., tra loro strettamente correlati nella visione della dignità del detenuto come “diritto inviolabile” che il primo dei due precetti prende in considerazione. Ma l’art. 27, co. 3°, Cost. (“Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”) viene letto dal Collegio rimettente non come un unico precetto, qui evidentemente violato, ma secondo una ripartizione che integra una scala di valori costituzionali.
L’art. 147 c.p., nell’attuale deficitaria formulazione, appare dunque in contrasto sotto un duplice profilo: l’uno riguarda il divieto di trattamenti inumani, e l’altro la finalità rieducativa della pena. L’osservazione appare interessante, laddove si potrebbe invero ritenere che i due aspetti in realtà siano una rifrazione dello stesso punto.
Il Tribunale di Sorveglianza, invece, molto attentamente afferma che la violazione può essere di entrambi i diversi aspetti ed addirittura pone espressamente l’accento sulla ritenuta prevalenza, posta dalla Costituzione, del valore dell’umanità della pena rispetto alla sua finalità rieducativa. Ne consegue che, in via astratta, la pena detentiva non può considerarsi “legale” (nel senso che si è sopra detto) se consiste in un trattamento contrario al senso di umanità, mentre potrà considerarsi comunque tale anche laddove non venisse raggiunta la finalità di rieducazione cui pur deve tendere (qui c’è una dicotomia tra finalizzazione e risultato).
Ciò nonostante, il Tribunale afferma che anche questo secondo aspetto viene di fatto violato dal vigente art. 147 c.p., poiché gli spazi angusti riservati alla vita carceraria impediscono di fatto l’esprimersi del necessario processo modificativo verso una corretta vita di relazione. E’ evidente che queste riflessioni aprono la strada a più estese e doverose critiche che tengano conto delle ulteriori carenze carcerarie, che impediscono la rieducazione (si pensi alla forzata inattività, alla mancata socialità, ecc.).
Un intervento legislativo è quanto mai atteso!
Scritto il 26-2-2013 alle ore 09:54
Le condizioni detentive sono drammatiche e, come correttamente evidenziato con l’ordinanza di rimessione del Tribunale di Sorveglianza di Venezia, non assolvono il principio dettato dall’art. 27. Cost. Si versa nell’illegale condizione di non attuazione dell’O.P.; L. 354/75. Il problema é antico. Un provvedimento clemenziale é auspicabile ma non risolutivo. Risoluzione che é stata costantemente rimandata da lustri inutilmente trascorsi.
Scritto il 14-10-2013 alle ore 12:13
9 ottobre 2013:
“La Corte costituzionale nell’odierna Camera di consiglio ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionali sollevate dai Tribunali di Sorveglianza di Venezia e di Milano,
dirette a consentire alla magistratura di Sorveglianza il rinvio dell’esecuzione della pena previsto dall’art. 147 del codice penale anche nel caso in cui la stessa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità per il
sovraffollamento carcerario.
La Corte ha ritenuto di non potersi sostituire al legislatore essendo possibili una pluralità di
soluzioni al grave problema sollevato dai rimettenti, cui lo stesso legislatore dovrà porre rimedio nel più breve tempo possibile.
Nel caso di inerzia legislativa la Corte si riserva, in un eventuale successivo procedimento di adottare le necessarie decisioni dirette a far cessare l’esecuzione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità”.